L'anno solare o tropico o tropicale è il periodo di tempo compreso fra due passaggi successivi del Sole all'equinozio di primavera (misura dunque il periodo di tempo intercorrente tra l'inizio della primavera e l'inizio della primavera successiva), e ha una durata di 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 45 secondi.
Vediamo allora come è stato risolto, nel corso del tempo, il problema dello "scollamento" fra anno solare e anno civile, dovuto al fatto che il secondo (di 365 o 366 giorni) non può essere uguale esattamente all'anno solare, che misura, per l'appunto, 365 g, 5 h, 48 m, 45 s .
Se l'anno civile non marciasse di pari passo con l'anno solare, si avrebbe uno spostamento delle stagioni nell'arco dell'anno, per cui, ad esempio, l'equinozio di primavera finirebbe per scivolare, col tempo, dal 21 marzo ad aprile, poi in maggio, in giugno, ecc.
Tra i calendari antichi merita di essere ricordato quello egiziano, in quanto rassomiglia al nostro attuale. La durata dell'anno era infatti di 365 giorni, divisi in 12 mesi di 30 giorni più 5 giorni complementari.
Sembra che ai tempi di Romolo, nel primo periodo della vita di Roma (intorno all'VIII secolo a.C.), l'anno civile fosse di 304 giorni, divisi in 10 mesi, dei quali 6 di 30 giorni e 4 di 31. I nomi dei mesi erano quelli attuali, ad eccezione di gennaio e febbraio, che non esistevano, poiché l'anno veniva fatto iniziare a marzo. Il mese di luglio veniva chiamato Quintilis, cioè "quinto mese": fu cambiato in Julius successivamente, dal tribuno Marco Antonio, in onore di Giulio Cesare (che era nato in quel mese). Anche il mese di agosto inizialmente non si chiamava così: il suo nome era Sextilis, cioè "sesto mese". Fu Cesare Augusto che successivamente ne cambiò il nome in Augustus, a motivo del fatto che in quel mese riportò tre vittorie e mise fine alle guerre civili. E' ovvio che i mesi da settembre in poi sono così chiamati perché inizialmente erano il settimo, l'ottavo, il nono e il decimo mese dell'anno.
Un'ipotesi di spiegazione dell'esistenza, in quell'epoca, di un calendario di dieci mesi fu data nel 1903 da uno studioso di nome Tilak il quale, in un saggio dal titolo La dimora artica dei Veda, dimostrò come fosse possibile che gli antichi Romani avessero ereditato quel calendario da una popolazione indoeuropea (i Veda, per l'appunto), abitante in qualche luogo presso il Polo Nord quando il clima in quella zona era temperato. I due mesi in meno sarebbero in relazione col periodo, durante l'anno, di mancanza totale o quasi di luce solare caratterizzante le terre vicino al Polo. Quando questo popolo migrò a Sud, come conseguenza del cambiamento di clima, dovette mutare il calendario, per adeguarlo alle stagioni caratterizzanti il continente europeo, dove anche i mesi più invernali non sono di notte completa; così avrebbero fatto anche i Romani, in un primo tempo aggiungendo ai dieci mesi i giorni mancanti per completare l'anno solare, e in seguito creando due veri e propri nuovi mesi.
I mesi di gennaio e febbraio furono aggiunti, secondo la leggenda, da Numa Pompilio (secondo re di Roma), che avrebbe così portato l'anno a 355 giorni (equivalente press'a poco a un periodo di 12 mesi lunari o lunazioni, detto anche anno lunare, che è di 354 giorni, 8 ore, 48 minuti e 26 secondi).
Tuttavia la differenza di circa dieci giorni e mezzo fra l'anno solare e quello di Numa Pompilio provocò in breve tempo un notevole distacco tra l'andamento delle stagioni e quello dell'anno civile, per cui si tentò di rimediare aggiungendo, ogni due anni, un tredicesimo mese che avrebbe dovuto essere, alternativamente, di 22 e di 23 giorni. Ma sembra che i pontefici, i quali avevano l'incarico di far eseguire le necessarie intercalazioni al momento opportuno, abbreviassero o allungassero l'anno come loro meglio accomodava per scopi politici, ora favorendo, ora osteggiando chi esercitava le magistrature o i pubblici appalti.
Fu Giulio Cesare che, nel 46 a.C., procedette a una nuova riforma, dietro suggerimento, forse, dell'astronomo alessandrino Sosigene e, probabilmente, di vari filosofi e matematici.
Dopo aver assegnato la durata di 445 giorni all'anno 708 di Roma (46 a.C.), che definì ultimus annus confusionis, stabilì che la durata dell'anno sarebbe stata di 365 giorni, e che ogni quattro anni si sarebbe dovuto intercalare un giorno complementare. L'anno di 366 giorni fu detto bisestile, perché quel giorno complementare doveva cadere sei giorni prima delle calende di marzo (facendo raddoppiare il 23 febbraio), e chiamarsi così bis sexto die ante Kalendas Martias (= nel doppio sesto giorno prima delle calende di marzo).
Con la riforma di Giulio Cesare (che stabilì così la regola del calendario giuliano) l'anno restò diviso in 12 mesi, della durata, alternativamente, di 31 e 30 giorni, con la sola eccezione di febbraio, che era destinato ad avere 29 giorni oppure 30 (negli anni bisestili). Inoltre gennaio e febbraio diventarono i primi mesi dell'anno, anziché gli ultimi, com'era stato dai tempi di Numa Pompilio fino ad allora. E il calendario da lunisolare divenne in questo modo solare, simile dunque a quello degli Egizi.
Purtroppo, già nel 44 a.C., subito dopo la morte di Cesare, si iniziò a commettere errori, inserendo un anno bisestile ogni tre anziché ogni quattro anni. A ciò si pose rimedio nell'8 a.C., quando Augusto ordinò che fossero omessi i successivi tre anni bisestili, rimettendo a posto le cose.
In quello stesso periodo il Senato decise di dare il nome di Augustus al mese di Sextilis, in onore dell'imperatore. Non limitandosi a ciò, stabilì anche che questo mese dovesse avere lo stesso numero di giorni del mese che onorava la memoria di Giulio Cesare, ossia Julius. Fu così che fu tolto un giorno a febbraio, che scese a 28 giorni (29 negli anni bisestili), per darlo ad agosto, mentre fu cambiato il numero dei giorni degli ultimi quattro mesi dell'anno, per evitare che ci fossero tre mesi consecutivi con 31 giorni. In definitiva, da una situazione di mesi alterni di 31 e 30 giorni si passò alla situazione, un po' più pasticciata, che persiste tutt'oggi.
Lo scopo di far aderire il calendario civile all'anno solare non era stato ancora raggiunto perfettamente, poiché quest'ultimo è, come abbiamo visto, circa undici minuti più corto di 365 giorni e un quarto. Questa piccola differenza produce il divario di un giorno intero in circa 128 anni, o di circa tre giorni in 400 anni. Da questa constatazione derivò la riforma attuata nel 1582 da papa Gregorio XIII, dietro proposta di una Commissione ai cui lavori diedero un contributo decisivo il medico calabrese Aloysius Lilius (o Luigi Giglio o Luigi Lilio), il matematico gesuita Christopher Clavius e il matematico perugino Padre Ignazio (al secolo Carlo Pellegrino Danti).
Con tale riforma, che fu detta gregoriana (e diede il via al calendario gregoriano), si stabilì che dovessero essere comuni (anziché bisestili) quegli anni secolari che non fossero divisibili per 400. Quindi, in definitiva, rimangono bisestili tutti gli anni non terminanti con due zeri e divisibili per 4, e quegli anni terminanti con due zeri ma divisibili per 400. Dalla data della riforma a oggi, dunque, fu bisestile l'anno 1600, non lo furono gli anni secolari 1700, 1800 e 1900, mentre lo è stato il 2000. La differenza fra il calendario gregoriano e quello giuliano è che il primo conta solo 97 anni bisestili nel corso di 400 anni, anziché 100 anni bisestili, come invece fa il secondo. Ciò significa anche che ogni 400 anni vi sono 97 giorni che si aggiungono ai 365 di ogni anno comune; e siccome 97 giorni equivalgono a 97 x 24 x 60 x 60 = 8.380.800 secondi, dividendo questa cifra per 400 abbiamo una media annua di 20.952 secondi, equivalenti a 5 ore, 49 minuti primi e 12 secondi. Quindi l'anno civile medio risulta di 365 giorni, 5 ore, 49 minuti e 12 secondi, con una differenza per eccesso di soli 26-27 secondi da quello solare. Ciò comporta la differenza di un giorno dopo circa 30 secoli, o meglio, di tre giorni ogni 10000 anni.
Si potrebbe, dunque, ulteriormente migliorare il calendario gregoriano togliendo tre giorni ogni diecimila anni; a tale riguardo, Antonino Zichichi, nel suo saggio L'irresistibile fascino del tempo, cita la regola del 'calendario perfetto':
i giorni dell'anno sono 365, più uno ogni quattro anni, meno tre ogni quattro secoli, e meno tre ogni diecimila anni.
Zichichi sposa dunque l'idea (suggerita da John Herschel, 1792-1871) di non considerare bisestili (mentre, in base al calendario gregoriano, lo dovrebbero essere) gli anni 4000, 8000 e 12000.
In questo modo, per la verità, si toglierebbero solamente 2 giorni e mezzo ogni 10000 anni invece dei 3 giorni che sarebbero necessari. Su Wikipedia, alla voce Calendario gregoriano/Ulteriori miglioramenti, c'è la proposta di non considerare bisestili sia gli anni multipli di 4000 sia gli anni multipli di 10000. Così non sarebbero bisestili gli anni 4000, 8000, 10000, 12000, 16000, 20000 ecc., e si toglierebbero proprio 3 giorni ogni 10000 anni.
Con l'attuazione della riforma gregoriana si provvide anche a correggere gli errori che erano venuti accumulandosi nel passato: il giorno successivo a quello di giovedì 4 ottobre 1582 divenne venerdì 15 ottobre, attuandosi così un salto di 10 giorni. Fu scelto tale periodo perché in esso non ricorrevano feste solenni.
Gli errori che si sanarono furono quelli accumulati dal periodo del Concilio di Nicea (325 d.C.) al 1582, perché si volle mantenere valida la data del 21 marzo come inizio della primavera, e quindi mantenere inalterata la regola base per il calcolo della data di Pasqua. Nel periodo che va dalla riforma di Giulio Cesare al quarto secolo d.C. si erano già accumulati circa quattro giorni di ritardo; per questo la data del primo giorno di primavera era slittata dal 25 marzo al 21 marzo.
Il calendario gregoriano fu accettato successivamente, anche se gradualmente, dalla maggior parte degli stati civili: in un primo tempo dagli stati con popolazione cattolica (fra il 1582 e il 1584), poi da quelli a popolazione protestante. In Germania entrò in vigore parzialmente nel 1700 e definitivamente nel 1775, in Gran Bretagna nel 1752, in Svezia nel 1753. In altri paesi, tra cui quelli a religione ortodossa, il calendario giuliano è rimasto in vigore fino ai primi decenni di questo secolo. Il governo rivoluzionario russo adottò il calendario gregoriano nel 1918. Il Giappone vi aveva già aderito nel 1873, la Cina nel 1812 (ma in modo completo nel 1949). Anche le chiese ortodosse (ad eccezione di quelle di Russia, di Serbia e di Gerusalemme, che hanno mantenuto il calendario giuliano) hanno peraltro adottato un calendario riformato, in cui risultano bisestili, fra gli anni secolari, solo quelli il cui millesimo, diviso per 9, dia per resto 2 oppure 6. In pratica, diventa bisestile un anno secolare ogni 4 o 5. La maggioranza degli ortodossi ha però mantenuto il vecchio metodo di calcolo del giorno di Pasqua. Fa eccezione la chiesa ortodossa di Finlandia, che ha aderito completamente al calendario gregoriano.
Riferimenti bibliografici:
Calendario atlante De Agostini, Istituto geografico De Agostini, Novara.
Duncan David Ewing, Il calendario, Piemme, Casale Monferrato, 1999.
Enciclopedia dello studente, vol. 2., M. Confalonieri, Milano, 1958.
Enciclopedia Einaudi, Einaudi, Torino (voce Calendario).
Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma (voci Calendario, Data).
Zichichi Antonino, L'irresistibile fascino del tempo, Il Saggiatore, Milano, 2000.